I compensi amministratore sono una forma di retribuzione utilizzata nelle società di capitali (quindi SPA, SAPA e SRL) per far arrivare denaro nelle tasche degli amministratori.

In pratica sono uno dei sistemi più utilizzati per permettere di prelevare dalla società e questo perché basta una semplice busta paga e puoi subito fare il bonifico.

In realtà spesso sono un sistema poco vantaggioso che ti porta a pagare più del necessario.

In questo articolo ti spiego quando usarli e ti fornisco 3 motivi per i quali evitare i compensi amministratore.

Compensi amministratore: come funzionano

La prima domanda che generalmente tutti si fanno è come calcolare i compensi amministratore e ci sono tre macro sistemi:

1️⃣ si possono attribuire in misura fissa, ovvero stabilendo un importo generale

2️⃣ si possono stabilire in modo proporzionale, ad esempio come percentuale sugli utili oppure in rapporto all’EBITA

3️⃣ si può utilizzare un sistema misto che prevede una parte calcolata in modo fisso più una parte a percentuale sui risultati aziendali

Il primo metodo è di solito utilizzato quando l’amministratore è anche socio proprietario dell’azienda.

Il secondo e terzo metodo è generalmente più utilizzato quando l’amministratore è un soggetto esterno nominato dall’imprenditore per gestire l’azienda.

Compensi amministratore: la procedura corretta

Come funziona esattamente la procedura per prelevare dai conti della società?

Il primo step è quello di convocare un’assemblea dei soci per “deliberare” (ovvero per decidere) sull’importo dei compensi.

Questo è un passo essenziale perché se manca il verbale con la delibera allora quei compensi saranno contestati da fisco.

Per la società si tratta di un costo deducibile da mettere nel conto economico e – se in caso di controllo manca il verbale – allora il fisco non ti consente di scaricare il costo e scatta automaticamente il verbale.

Non basta infatti che i compensi siano previsti nello statuto della società bensì serve un verbale di assemblea dei soci che ne determini l’importo esatto.

La delibera può stabilire sia gli importi che le modalità di prelievo oppure può disporre un importo e rimandare all’organo amministrativo la scelta del momento preciso in cui prelevare.

Il secondo step è quello di emettere una busta paga in quanto i compensi agli amministratori generano un reddito assimilato a quello del lavoro dipendente.

Questa assimilazione ha due conseguenze dirette:

  1. puoi agganciare quasi tutti i benefici del lavoro dipendente in termini di rimborsi, welfare aziendale ed agevolazioni varie
  2. i compensi sono soggetti a contribuzione INPS

La prima conseguenza è chiaramente un vantaggio mentre i contributi incidono negativamente sul netto in busta.

L’amministratore infatti deve essere iscritto alla gestione separata dell’INPS ed il compenso è soggetto ad un contributo che varia da circa un 24% a circa un 33% a seconda della situazione personale del soggetto.

Fortunatamente sono costi aziendali e pertanto li possiamo utilizzare per ridurre il carico fiscale della società.

Deducibilità e principio di cassa

L’importo lordo del compenso così come i contributi INPS alla gestione separata sono un costo deducibile per la SRL che li ha erogati a patto di aver rispettato le formalità che ti ho spiegato poco sopra.

Per quanto riguarda il momento in cui si possono portare a costo è necessario verificare il loro pagamento perché vige la regola di “deducibilità per cassa“.

Le società di capitali hanno per loro natura un regime di deducibilità “per competenza” ovvero possono dedurre tutti i costi che “competono” all’esercizio contabile in corso, indipendentemente dalla data di pagamento.

L’esercizio contabile corrisponde generalmente con l’anno solare, ovvero con il periodo dal 1° di gennaio al 31 dicembre.

I compensi amministratore invece seguono una regola diversa che ti impone di “scaricare” il costo solo nell’esercizio in cui avviene il pagamento.

Immagina di aver deliberato un compenso agli amministratori nel mese di dicembre e di aver emesso la corrispondente busta paga però mancano temporaneamente i fondi ed il bonifico è stato fatto al 20 gennaio.

In questo caso la società può utilizzare il costo fiscale dei compensi solamente nell’anno successivo proprio perché il pagamento è avvenuto il 20 gennaio.

Tra l’altro c’è un’ulteriore complicazione perché si tratta di una regola solamente di natura fiscale.

Questo vuol dire che i compensi vanno contabilmente registrati a dicembre ma andranno dedotti solo nella dichiarazione fiscale dell’anno successivo creando un disallineamento temporaneo.

In tutto questo c’è una importante eccezione, ovvero che i pagamenti effettuati entro il 12 gennaio dell’anno successivo si considerano come se fossero stati fatti entro il 31 dicembre.

Quando usare i compensi amministratori

I compensi amministratore sono un’ottima soluzione per effettuare i prelievi in corso d’anno senza attendere la fine dell’anno per distribuire gli utili dell’azienda.

Sono pertanto un modo per anticipare (anche di molto) le possibilità di prelevare specie nelle società di nuova costituzione.

Quindi posso prelevare il compenso nei primi mesi dell’anno senza dover attendere di chiudere l’esercizio ed approvare il bilancio per poi distribuire gli utili.

Il vantaggio è pertanto quello di poter prelevare subito, senza dover attendere i primi mesi dell’anno successivo.

Un secondo motivo che potrebbe spingerci a preferire i compensi amministratore è la possibilità di prelevare in modo arbitrario.

Infatti i compensi non hanno nulla a che fare con le percentuali di partecipazione, quindi si possono attribuire i compensi in base al lavoro di ciascun socio senza tenere conto degli apporti.

Poni il caso di una SRL con tre soci nella quale solo due sono impegnati a tempo pieno.

In questo caso – tramite la busta paga – è possibile fargli arrivare una determinata retribuzione indipendente dagli utili.

Tra l’altro nelle società di capitali è possibile avere un amministratore senza quote, ovvero una persona che non è proprietaria di alcuna quota di capitale.

Una amministratore che non è socio non ha alcun diritto sugli utili quindi la busta paga diventa lo strumento principale per gestire la retribuzione.

In azienda è sempre bene avere delle regole chiare tanto sulla distribuzione degli utili quando sulle regole per determinare i compensi agli amministratori durante la vita societaria ed evitare problemi.

Un classico esempio di vertenza è quanto i soci di maggioranza utilizzano i compensi amministratori per azzerare gli utili e lasciare i soci di minoranza con le briciole.

Amministratore con compenso a zero

Un caso particolare è quello dell’amministratore senza compenso, ovvero che non percepisce alcuna busta paga.

Dal punto di vista fiscale e contributivo non c’è alcun problema perché la legge non impone dei minimi di compenso e lascia questa decisione in mano ai soci della SRL.

Tuttavia è sempre bene verificare che ci sia una apposita regola nello statuto oppure nella delibera di nomina dell’amministratore.

In caso di silenzio c’è infatti il rischio che l’amministratore si rivolga al tribunale per farsi attribuire un equo compenso, cosa che può succedere magari per ripicca dovuta ad una lite tra soci.

Se invece l’amministratore ha accettato la carica già sapendo che non gli sarebbe spettato alcun compenso allora non potrà sollevare eccezioni.

Questi ragionamenti ci portano direttamente al cuore della questione, ovvero quali sono i casi in cui è bene evitare i compensi agli amministratori.

Nella pratica quotidiana ho individuato tre punti generali di attenzione con altrettanti casi nei quali è bene evitare i compensi ovvero:

  1. il rischio accertamento sui contributi INPS
  2. la sindacabilità dei compensi da parte del Fisco
  3. il rischio di conseguenze che derivano dalla eccessiva compressione dell’utile di esercizio

Vediamo nel dettaglio ciascuno di questi tre motivi.

Rischio accertamento sui contributi INPS

Quando si parla di compensi agli amministratori ci possono essere delle sviste formali che si possono tradurre in accertamenti a carico della società per la deducibilità dei costi.

Come ti ho detto all’inizio di questo articolo è sufficiente prestare molta attenzione e (possibilmente) farsi seguire da un professionista preparato su questa materia in modo da essere perfettamente in regola.

A parte questo ci sono due casi che si possono presentare in modo abbastanza insidioso e che spesso non si considerano in modo sufficientemente attento.

Il primo riguarda la “rinuncia ai compensi” che è una cosa che andava molto di moda negli anni 80.

Per una questione di praticità si faceva un verbale “standard” con un importo abbondante e poi durante l’anno gli amministratori prendevano i soldi come desideravano.

Il prelievo era in genere inferiore all’importo totale e poi si faceva un contro-verbale in cui si diceva che gli amministratori rinunciavano al resto dei compensi e così si evitava di “sforare” ovvero di andare oltre l’importo della delibera.

Tutto bene per lo meno fino a quando l’Agenzia delle Entrate ha iniziato a verbalizzare sostenendo che quello che gli amministratori avevano rinunciato in realtà era un incremento patrimoniale per la società stessa inventando la figura mitologica dell’incasso giuridico.

In pratica era come se tu avessi virtualmente prelevato e rimesso i soldi in azienda, il tutto con le conseguenze che ti lascio immaginare.

Purtroppo mi sono capitati alcuni casi (per fortuna sono rari) di mancata corrispondenza tra verbale ed importo prelevato, specie presso alcuni consulenti che non hanno sufficiente esperienza in merito.

Sindacabilità dei compensi da parte del Fisco

La seconda questione riguarda alcuni amministratori a cui sono stati attribuiti dei compensi di importo considerevole dove l’agenzia delle entrate va a contestare questi importi ritenendoli eccessivi.

Il fisco si basa sulle “normali prassi” e sulla regola generale che i compensi agli amministratori devono essere commisurati alla natura e dimensioni dell’impresa.

Sono abbastanza frequenti le società che chiudono con poche migliaia di euro di utili (o di perdita) dopo aver erogato qualche cento/duecentomila euro di compensi agli amministratori e questo può creare il presupposto per un possibile accertamento fiscale.

In pratica i compensi agli amministratori sono soggetti ad una valutazione da parte dell’Agenzia delle Entrate che può ritenerli eccessivi e si chiama sindacato di “anti-economicità”.

In altre parole il Fisco sostiene che hai pagato troppo gli amministratori e ti riprende a costo indeducibile la parte in eccesso con un verbale di accertamento.

La Corte di Cassazione non è uniforme sul “quanto” sia questa parte di compenso che si possa giudicare eccessiva e (come al solito) le sicurezze per noi imprenditori sono sempre poche.

Pensa che in passato l’Agenzia delle Entrate aveva persino iniziato a contestare il prelievo dei compensi nelle SRL unipersonali, ovvero nelle società con un unico socio.

Per fortuna che almeno questa assurdità sembra cessata!

I compensi abbassano gli utili

Resta comunque una terza ed ultima valutazione che può portare ad evitare (almeno in quota parte) di utilizzare i compensi agli amministratori specie in sostituzione degli utili di esercizio.

Quando si tratta di valutare se prelevare tramite i compensi oppure tramite la distribuzione degli utili c’è un riflesso importante ovvero che i compensi amministratore sono dei costi mentre gli utili sono dei prelievi.

In altre parole avere tanti compensi agli amministratori alza la dichiarazione personale del socio ed abbassa di un importo ancora maggiore il risultato della società con le normali conseguenze sul credito.

Immagina due società perfettamente uguali che arrivano a fine anno: nella prima ci sono 200.000 euro di utili mentre nella seconda ci sono 180.000 di compensi agli amministratori e 20.000 di utile residuo.

In teoria sono la stessa cosa mentre in realtà la prima delle due aziende ha un merito creditizio decisamente migliore, ovvero ha maggiori possibilità di essere finanziata e con tassi (verosimilmente) più bassi.

Una delle ragioni è data dal fatto che gli utili si possono prelevare solo nell’anno fiscale successivo, ovvero dopo che il bilancio è stato approvato e di conseguenza depositato.

Quello che prima poteva essere un problema in termini di tempistiche di prelievo ora si può trasformare in una opportunità in termini di accesso al credito.

Questo lungo articolo ci porta all’unica conclusione possibile, ovvero che le scelte che in apparenza possono sembrare semplici racchiudono al loro interno molte sfaccettature che è bene conoscere.